Vie dello spirito occidentale
In poche epoche, come in quella attuale, è stato tanto difficile all’Occidente giungere ad un orientamento preciso conforme alla sua tradizione; e questo lo si deve soprattutto ad una singolare alternativa a cui l’Occidente stesso si è ridotto.
Noi oggi vediamo in Occidente da una parte un mondo di realizzazioni sviluppatosi nel segno della visione chiara (scienza) e dell’azione precisa (tecnica) — ma questo mondo non conosce luce, la sua legge è quella di un movimento senza centro, il suo limite è la materia e la voce della materia. D’altra parte risorge un impulso verso alcunché di superiore — ma un tale impulso sbocca in forme varie di una specie di evasione o di regressione. Là dove l’Occidente afferma il principio attivo e realistico della sua tradizione, là, dunque, non vi è spirito; e là, dove si tende verso lo spirito, quel principio cessa di esser presente, dando luogo al suo contrario: da un lato, sino le tendenze umanitarie, cristianeggianti, democraticamente universalistiche, dall’altro le correnti neo-spiritualistiche che spesso si associano all’irrazionalismo, alla religione della vita, elle teorie dell’inconscio: un mondo confuso che è in intima contraddizione con lo spirito virile dell’Occidentalità.
Questo stato di fatto si è costituito come una specie di dilemma. Comprenderlo, è il primo passo. Spezzare l’alternativa, sarebbe la condizione di salute.
La reazione spiritualistica al materialismo del mondo moderno ha certamente il suo diritto: non lo ha più, però, quando accomuna nella negazione cose distinte, disconoscendo i significati fondamentali che stanno alla base dell’esperienza occidentale, indipendentemente dalla loro attuale forma materialistica e degradata di manifestazione. Il mondo realistico moderno, come spirito, è intensamente occidentale. Esso sbocca, sì, nel regno arimànico della macchina, della finanza, del numero, delle metropoli d’acciaio e di cemento privo di contatti con la trascendenza, ove ogni senso delle forze invisibili e viventi delle cose si spegne: ma attraverso tutto questo, l’anima occidentale ha mantenuto uno « stile » del quale si potrebbe riconoscere il valore si si prescinde dal piano e dalle forme della realizzazione puramente materiale.
È l’attitudine della scienza, come conoscenza sperimentale, positiva metodica — al luogo di ogni intuizionismo istintivo, di ogni irrazionalismo, di ogni interesse per l’indeterminato e per il « mistico ».
È l’attitudine della tecnica, come conoscenza esatta di leggi necessitanti al servizio dell’azione onde poste certe cause seguano effetti prevedibili e determinati senza intrusione di elementi irrazionali ed emozionali.
È, infine, il valore della personalità, capace di una iniziativa attiva, portata verso l’autonomia.
Per quanto in aspetti e gradi molto vari, nelle realizzazioni occidentali opera un impulso secondo queste dimensioni fondamentali. Averle confuse con il materialismo di molte realizzazioni a cui esse han dato luogo, è stato l’errore: ogni reazione al materialismo, ogni volontà di superamento del materialismo si è associata, da allora, ad un disconoscimento dello spirito dell’occidentalità, ad una evasione graduale dalla legge occidentale di realismo, di azione e di personalità, donde, appunto, quel neo-spiritualismo contemporaneo che, nello stesso caso che conservi qualcosa di davvero spirituale, va pur sempre considerato come un pericolo e un elemento di degenerescenza rispetto a ciò che corrisponde il nucleo più profondo della nostra tradizione.
Specie dopo la prima e la seconda guerra mondiale, le forme di tale spiritualismo hanno preso uno sviluppo rilevante. Sono le correnti in cui dottrine orientali mal comprese, sono adattate ai peggiori pregiudizi occidentali; è il malsano interesse per i problemi del subcosciente (psicanalisi), ma, soprattutto, per la medianità e la « parapsicologia »; è la via di un « ritorno » al cristianesimo più sfaldato, dovuto ad una intima alienazione o capitolazione, sono i vari aspetti di un nuovo culto della « Vita » più o meno panteistico e promiscuo. Per quanto grande possa essere la diversità di queste forme, pure obbediscono tutte ad uno stesso significato, e rispecchiano un clima di evasione, di insofferenza, di stanchezza. È l’anima dell’Occidente che vacilla e si sfalda. L’occhio non la vede sussistere che nel mondo chiuso d’in basso: dietro ai signori delle algebre incatenati o scatenati le forze della materia; della finanza e dell’industria che detta legge a genti e governi; delle macchine ove giorno per giorno eroismi privi di luce lanciano per le vie del cielo e dell’oceano.
La mancanza di ogni impulso a che i valori viventi su questo piano se ne stacchino, e si riaffermino e si integrino in un ordine superiore — la mancanza di tale impulso nell’Occidente moderno è il suo limite, il suo fattore di impietramento e di decadenza. La tradizione occidentale non risorgerà che quando una nuova civiltà, non più stregata dalla realtà materiale, affermerà uno stile di chiarezza, di azione assoluta e di vera personalità di là dalla nebbia dello «spiritualismo » e da tutte le altre forme già accennate di evasione e di dissolvimento. E per la relazioni di analogia che un tale stile ha col significato speciale secondo cui in questa sede spesso sono stati usati i termini « magia » e «visione magica del modo », può dirsi: è a mezzo di un’epoca magica che l’Occidente potrà eventualmente risolvere nodo della « età oscura » — kali-yuga, età del ferro. Nessuna alterazione: in una epoca di realismo attivo, trascendente o fortemente personalizzato, la nuova forma tradizionale che l’Occidente potrà far sua si riprenderà dallo spirito stesso della sua più antica tradizione: dell’antico spirito artico-atlantico, luce che dal Nord scese verso il Sud, dall’Ovest verso l’Est, portando dovunque, insieme ai segni di un simbolismo cosmico, il retaggio di razze eroiche, attive, conquistatrici.
E come motivi particolari: di là dal mondo dell’Uno, il suo articolarsi nella pluralità degli dèi e degli eroi, in vie di ascesa e di discesa: « mortali immortali, immortali mortali », secondo la parola eraclitea et ermetica; cessazione della nostalgia, della volontà di pace e di abbandono, dello sguardo riportantesi verso le « Madri »; cessazione di ogni torbida ebrezza, chiusura di fronte a ogni estasi confusa e demonismo subpersonale; senso dell’essere e del procedere, essendo « tutto fronte », come chi apre nuove vie e nuovi valichi, come chi segni e difenda nuovi limiti di dominio là dove altri cadde o non giunse. In un’epoca magica, significati del genere si riaffermano nello stesso contatto col sovrasensibile. E per l’Occidente, in fondo, si tratta appunto di motivi che, nell’una forma o nell’altra, sempre riapparvero nella sua storia: dallo spirito della conquista mondiale da parte dell’Europa bianca, e più indietro, passando per l’epica cavalleresca e crociata fino alle forme più chiare dello spirito romano e ario-mediterraneo, dorico-acheo e omerico, fino agli echi dei naviganti e dei conquistatori bianchi primordiali — quelli dai « grandi vascelli stranieri », dalle insegne dell’Ascia e dell’« Uomo solare con braccia alzate », — scendenti dalle sedi artiche fino ai centri della prima civiltà tradizionale occidentale.
Il problema è di vedere fino a che punto contatti possono esser ristabiliti in tal senso. Fra le grandi ombre, le terre malferme e i bagliori arimànici del mondo moderno, questo dovrebbe essere il punto di riferimento per liberare l’Occidente senza contraddirlo. Su tale direzione dovrebbe portarsi l’azione rettificatrice e animatrice di coloro che hanno la vocazione di capi spirituali, per la « difesa dell’Occidente »: di là, dunque, sia dall’attivismo materialista che dal pericolo « spiritualista ».
—Julius Evola
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